Alessandra Gentile

Vi ricordate il gioco del telefono senza fili?

Le sue regole erano semplici:

  • numero di partecipanti libero;
  • uno di fianco all’altro, il primo giocatore procedeva a sussurrare all’orecchio del vicino una qualsiasi frase a sua scelta;
  • fatto questo, senza possibilità di ripetere o chiedere chiarimenti, il secondo giocatore doveva riportare lo stesso messaggio al giocatore di fianco a lui, sempre sussurrandolo all’orecchio;
  • la sequenza andava ripetuta così, fino ad arrivare alla fine della catena;
  • una volta ricevuto il messaggio, l’ultimo giocatore doveva pronunciare ad alta voce la frase ascoltata per verificare che coincidesse col messaggio originale del primo.

Puntualmente non solo l’ultima frase non era uguale alla prima ma, di solito, il significato era completamente stravolto e generava grande ilarità.  Bei ricordi, vero?

E se vi dicessi che, al contrario di quello che pensiamo, questo è un gioco che facciamo inconsapevolmente tutti i giorni nelle nostre comunicazioni? E che, diversamente dal gioco ufficiale, le nostre reazioni sono molto meno divertite alla fine della catena perché una conclusione diversa causa grandi problemi relazionali e operativi?

La verità, infatti, è che molto spesso ci fidiamo ed affidiamo ciecamente alla nostra memoria: siamo convinti di aver “registrato” tutto quello che ascoltiamo e soprattutto di averlo compreso alla lettera e, quindi, sentiamo di non aver bisogno di chiedere riscontri e conferme, anche se potremmo farlo.

Eppure, la nostra mente spesso ci mente.

Già nel 1956 lo psicologo statunitense George Armitage Miller aveva introdotto il “magico numero 7 (±2”) a indicare come la nostra memoria, mentre è in funzione, possa processare e trattenere un numero limitato di informazioni. Da un minimo di 5 a un massimo di 9, appunto, con una media di 7.

Più recentemente altri studi ed esperimenti si sono dedicati all’osservazione della nostra soglia di attenzione, in termini sia qualitativi che quantitativi, associando le loro scoperte a vari indicatori. Questi indicatori variano a seconda dell’ipotesi indagata, a volte più legata ad aspetti biologici (ad esempio mappando le onde cerebrali in funzione in specifiche situazioni) o psicologico-sociali (ad esempio l’impatto delle nuove tecnologie e il loro uso massiccio sulla nostra capacità di concentrazione ed assorbimento delle informazioni).

Sebbene questi studi siano stati modificati o messi parzialmente in dubbio, nel corso del tempo, sicuramente confermano tutti un aspetto molto importante che parla della nostra limitata abilità di assorbire le informazioni in maniera fedele e completa. E cioè che, a prescindere da quanto siamo interessati a quello che ascoltiamo, non riusciamo a trattenere ogni singolo dettaglio e perderemo qualcosa per la strada.

In che modo ci aiuta conoscere di questo nostro limite?

Innanzitutto saperlo ci aiuta a diffidare di quello che “pensiamo di aver capito” e di reagire senza chiedere riscontro: quando io non ricordo bene quello che mi è stato detto o mi focalizzo su una parola che magari mi ha dato fastidio, divento consapevole che “riempirò” quel vuoto di informazione con la mia interpretazione, molto spesso distorcendo il messaggio originale e agendo sulla base di quelle opinioni, a prescindere che a guidarci siano le migliori intenzioni.

Saperlo ci aiuta anche a realizzare che, soprattutto in contesti a noi familiari o su compiti che ormai eseguiamo ad occhi chiusi, potremmo tendere a dare ancora meno attenzione a quello che ci viene detto perché tanto “lo sappiamo già”, “ma sì abbiamo capito”, o “tanto è sempre la stessa cosa”. Proprio per via di questa conoscenza approfondita.

Saperlo, infine, ci sprona a trovare delle soluzioni efficaci che possano diminuire in modo rilevante i danni che spesso si generano da questa condizione in parte naturale.

Quali sono queste soluzioni efficaci?

La prima, se volete più semplice – ma non banale – è di imparare a prendere appunti quando qualcuno ci parla, ogni qual volta sia possibile: telefonate, riunioni, corsi … Dovunque io abbia la possibilità di usare un foglio e una penna mentre sto ascoltando qualcosa o qualcuno, mi aiuta subito ad aumentare il livello di concentrazione e mette a disposizione un numero maggiori di informazioni per dopo, che altrimenti la mente lascerebbe andare.

Credetemi se dico che questa azione, se diventasse abitudine, risolverebbe già una lunga serie di problemi sul posto di lavoro, sui quali mi capita di lavorare spesso durante i corsi in aula o nelle sessioni individuali.

E se non ho la possibilità di prendere appunti?

In questo caso, ma anche se ho avuto prima il tempo di scrivere, ecco che arriva in nostro aiuto un potentissimo strumento di comunicazione efficace: LA PARAFRASI.

La parafrasi, anche detta riformulazione, consiste nel riprendere le parole che mi sono arrivate e rimandarle al mittente per verificare se quanto io ho capito coincide in effetti con quanto l’altro ha detto.

Anche qui, credetemi che, non tutte, ma molte incomprensioni rientrerebbero velocemente e senza far danni.

Quali sono i 3 vantaggi principali che arrivano dall’uso della parafrasi?

  1. parafrasare le parole altrui richiede un ascolto attento: se io non ho le orecchie belle aperte e orientate al mio interlocutore, difficilmente potrò rimandargli il messaggio così come è stato generato. Se, all’inizio, nel provare a parafrasare mi accorgo di far fatica a rimandare le parole dell’altro, questo è già un buon indicatore del mio ascolto debole e dovrebbe farmi venire dei sospetti su quanto io possa realmente aver capito.

  2. Parafrasare, nel momento in cui quello che sto ascoltando non mi piace o non mi trova d’accordo, mi aiuta a verificare se quello che sto percependo sta svegliando lo scimpanzé e mettendo a tacere l’umano (link all’articolo). Se dalla mia parafrasi la persona dirà che ho male interpretato o che si era spiegato male, il mio scimpanzé si calmerà e permetterà all’umano di riprendere il filo del discorso. E anche in caso contrario io saprò da quale punto ripartire per continuare efficacemente quella conversazione, ad esempio attraverso la tecnica delle domande e l’utilizzo di un linguaggio non urtante. Le ulteriori tecniche a mia disposizione supporteranno la mia parte razionale nel rispetto e inclusione di quella emotiva.

  3. Parafrasare fa sentire l’altro ascoltato e quindi da importanza a quello che dice (calmando il suo di scimpanzé) dandogli inoltre la possibilità di confermare assumendosi la responsabilità di quanto dichiarato o di tornare indietro sui suoi passi. In ogni caso avrà comunque la sensazione di poterci correggere e di guidare la conversazione.

So che quest’ultimo punto può risultare fastidioso, specialmente se il dialogo in corso non è dei più amichevoli. Per questo vorrei citarvi la domanda che il Prof. Giorgio Nardone riporta in alcuni dei suoi libri: se state per incamminarvi su una via stretta, dove può passare una persona per volta, e vi trovate di fronte qualcuno che come voi vuole passare: risulta più forte chi arretra sorridendo per lasciare passare l’altro o chi si impone con la forza attraversando per primo? Il senso nell’altro che vi può correggere è proprio questo: attraverserete anche voi e senza aver usato forza o prepotenza. Anzi, con galanteria!

E ora passiamo ad esempi di parafrasi e anche di risposte che pensiamo lo siano ma invece sono esattamente il loro opposto: esistono varie formule linguistiche e vi consiglio di adattarle al vostro stile personale e alla situazione specifica di riferimento, così vi sentirete comodi nell’utilizzarle, consapevoli che la cosa importante è usare la parafrasi, per verificare e non perdere pezzi per strada, e non necessariamente scimmiottare una frase fratta.

Di seguito alcune delle frasi da cui partire per “creare” la vostra:

“se ho capito bene, ma se non è così correggimi, tu stai dicendo ….”

“permettimi di riassumere per accertarmi di aver capito tutto quello che mi hai detto”

“Mi pare di capire che intendi dire … Ho frainteso o dimenticato qualcosa?”

Come vedete l’idea è, una volta che l’altro ha finito di parlare (quindi anche più volte durante il discorso, magari sui passaggi salienti e di sicuro alla fine) verificare attraverso le sue stesse parole che abbiamo compreso.

NOTA BENE: in un articolo e video precedenti abbiamo visto la differenza tra fatti e opinioni, molto sinteticamente, il divario tra CIO’ CHE ACCADE/VIENE DETTO e CIO’ CHE IO CREDO STIA ACCADENDO/L’ALTRO STIA DICENDO.

 La parafrasi, tra le varie cose, mi aiuta proprio a verificare questa distinzione fondamentale, prima di pensare a qualsiasi reazione.

Per spiegarci cosa intendo, ecco qui un esempio di cosa NON è una parafrasi e può facilmente far deragliare la comunicazione:

A: Non arrivi mai a casa in orario. Non è possibile!

B: Secondo te lo faccio apposta?!

Non sappiamo (al momento) se il vostro pensiero sia esattamente quello dell’altro ma di certo (sempre al momento):

  • le sue parole non lo hanno esplicitato, “la colpa” è una vostra deduzione.
  • subito la persona non si sente ascoltata e si mette sulla difensiva
  • percepisce che vi siete sulla difensiva a vostra volta
  • è molto facile che i due scimpanzé mettano ko l’umano, impedendogli di gestire le emozioni in maniera efficace, e inizino a darsele di santa ragione.

Una parafrasi usa le parole dell’altro, certo può trovare dei sinonimi, non le sostituisce con le nostre supposizioni a priori.

In questo caso, una buona parafrasi, da cui partire per fare il punto potrebbe essere:

A: Non arrivi mai a casa in orario. Non è accettabile!

B: Mi stai dicendo che non tolleri che io arrivi sempre in ritardo?

Partiamo da qui: se la persona vi dirà di “sì” allora potrete continuare quella conversazione utilizzando altre tecniche – come le domande potenti su cui lavoreremo dal prossimo articolo in poi – basate sull’obiettivo che vi sarete dati per quello scambio. Ma considerate che a quella parafrasi potrebbe  anche rispondervi “no” e aggiungere magari “è che secondo me il tuo capo è un tiranno nel farti fare sempre tardi e neanche ti apprezza come meriteresti”.

E ora immaginate se, stando così le cose, voi aveste usato stizziti la prima risposta, dove vi sentivate vittime di un’accusa personale.

Quindi, di nuovo, partite dalla parafrasi!

E se volete iniziare, allenatevi con me, guardando il video seguente.

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